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Vi racconto #2: David Gilmour (Circo Massimo, 27 Settembre 2024)

Secondo articolo della rubrica "Vi racconto..." in cui mi occuperò di musica, arte, cinema, spettacolo, storia e letteratura. Vi parlo con grande romanticismo ed un pizzico di epicità del concerto di David Gilmour a Roma, delle mie emozioni e di tutto ciò che ho provato durante questa indimenticabile serata!

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Ho imparato a suonare la chitarra grazie a maestri pazienti che mi hanno trasmesso teoria e tecnica, ma la vera lezione l’ho appresa da qualcun altro: David Gilmour. Non è mai stato un insegnante fisico per me, ma la sua arte mi ha mostrato la vera essenza di questo strumento. Non serve suonare mille note al minuto, correre scattanti su un manico di legno, ma fermare il tempo, far battere i cuori all’unisono, far vibrare l’anima. La sua chitarra non è solo uno strumento, è una porta verso un'altra dimensione. E io, spesso, l’ho varcata.

 

Dopo anni di passione sfrenata per i Pink Floyd e per il loro leggendario chitarrista, ho finalmente vissuto un sogno: vedere David Gilmour dal vivo, sul palco di Roma.

 

Circo Massimo, Venerdì 27 Settembre 2024: l’atmosfera è elettrica, ma c’è un silenzio sospeso, come se l’aria stessa stesse trattenendo il fiato. E poi, all’improvviso, eccolo, lo zio David. Nessuna introduzione, nessun effetto scenografico. Solo lui, la sua leggendaria Black Strat e un pubblico di 15.000 anime da tutte le parti d’Europa in silenziosa adorazione. Inizia il rito.

 

Il battito ipnotico di Speak to Me e l’apertura sognante di Breathe sono come due pugni nello stomaco, da incassare senza respiro. Ho taciuto per tutta la durata del brano, lasciando scendere una lacrima che lentamente solcava il mio viso, segno di un'emozione immensa e indescrivibile. Gilmour non suona la chitarra, la respira, e ogni respiro è un’ondata di emozione che mi ha travolto senza pietà.

 

Poi arriva Time. L’orologio brillante si accende sul fatidico Mr. Screen; i tintinnii riempiono l'aria ed esplodono in un assordante crescendo visivo e sonoro. La voce di David, segnata dal passare degli anni, vibra ancora di più proprio perché imperfetta, e l’assolo che segue è una rivelazione: la chitarra sembra parlare, raccontare storie di vite passate e sogni infranti, ma anche di speranze mai spente. Tutto è sospeso, come in un’altra dimensione.

 

Fat Old Sun riporta adrenalina e vitalità con la sua Telecaster storica, mentre Marooned ci ricorda che con la musica si può viaggiare oltre i confini della realtà, persino oltre la luna. Ma è su Wish You Were Here che il mondo intero sembra fermarsi. È il canto, un abbraccio collettivo di migliaia di voci che si uniscono come un’unica anima. Cantiamo a squarciagola, ma non è solo una canzone, è una preghiera. Ognuno di noi ha qualcuno a cui pensa, qualcuno che non è lì, ma che vorremmo stringere forte.

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Romany, la figlia di David, con il suo talento ha dimostrato che la mela, come si dice, non cade mai lontano dall'albero. Between Two Points sprigiona tutta la dolcezza del duetto padre - figlia, che si ripete su The Piper's call quasi a simboleggiare un passaggio di testimone. Si compie il dialogo tra passato e presente e i pezzi del nuovo disco si intrecciano con i vecchi classici fino alla più bella, a parer mio, della nuova fatica di Gilmour, che è Scattered. Ma è su High Hopes che la Division Bell rintocca di nuovo: l'assolo di lap steel strappa l’ultima lacrima rimasta prima del break. David poi prende la classica e, senza sosta, improvvisa un assolo che sembra riportarci delicatamente alla realtà. Ogni vibrazione delle corde ricorda quanto sia fugace la vita, ma anche quanto sia straordinaria, soprattutto quando è la musica e la bellezza a sollevarci oltre la realtà.

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Eppure, tutto sembra ancora un sogno. È su Sorrow che i laser illuminano il palco, mentre David si dissolve tra le volute di fumo scenico e la chitarra squarcia l’aria violentemente. Non c’è un istante che vada sprecato.


 Tra i brani, A Great Day for Freedom e una rinnovata versione di The Great Gig in the Sky mi hanno portato a riflettere. Ho ripensato alla forza travolgente dell’originale, quel canto senza parole che parla della paura della morte e che è una delle più grandi genialate della storia della musica.

 

Poi, l’incertezza di un inizio mancato su Coming Back to Life ci regala un Gilmour umano. "Nessuno è perfetto," dice con un sorriso, e riprende. In quel momento, mi sono accorto di sorridere anche io, con la pura felicità di chi sta vivendo un istante unico e irripetibile.

 

Il colpo finale arriva con Comfortably Numb. Ascoltare quelle note dal vivo è un’esperienza che ti entra dentro e non ti lascia più. Ogni singola vibrazione, ogni ricordo di The Wall si mescola alle luci e ai laser che giocano sopra le nostre teste. In quel momento, Roma è sul tetto del mondo. Ma che dico; Non c’è più Roma, non c’è più il mondo. Ci siamo solo noi e quella chitarra che sembra comunicare direttamente con l’anima. Mi sento perso, eppure mai così vivo.

 

C’è chi critica, chi punta il dito su qualche imperfezione vocale o una nota mancata. Viviamo in un’epoca in cui è facile puntare il dito, ma cosa importa una nota mancata, quando l’anima della musica è così viva, così pulsante? E David, questo giovanotto del 1946, nonostante gli anni e la fatica, ci regala tutto sè stesso, senza riserve, dal vivo e senza alcun aiuto “esterno”.

 

Questo concerto è stato, per me, più di un evento. È stato un dono, forse l’ultimo, di una leggenda vivente. E se anche la sua voce porta i segni del tempo, se qualche nota non è più perfetta, a vincere è sempre la musica. Quella musica che non ha bisogno di essere perfetta per essere grandiosa. Quella musica che vibra dentro, che ti fa piangere e sorridere nello stesso istante. Quella musica che ci guida, inconsapevolmente, in luoghi dove le parole non possono arrivare. E, diciamolo chiaramente, non è una musica per tutti. Solo chi è disposto ad ascoltare con il cuore, e non solo con le orecchie, può comprenderla davvero.

 

Noi, fortunati, ci siamo goduti ogni istante, con un nodo alla gola e gli occhi colmi di gratitudine. E sono certo che, anche quando l’orologio del tempo correrà veloce verso tempi diversi, futuri e lontani questa musica rimarrà immortale. Viva David, viva i Pink Floyd, viva la musica. Sempre.


Andrea Vena


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David Gilmour al Circo Massimo – Foto © Jill Furmanovsky

 
 
 

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